Considero Marina Corradi una delle penne più intelligenti e lucide di Avvenire. Per questo ho letto con molta attenzione il suo editoriale sul n° del 3 dicembre scorso “Quei pilati «incompetenti»”.
Neppure lei, tuttavia, riesce ad uscire dal “politicamente corretto” di una cultura oggi largamente diffusa nel mondo cattolico sul tema dell’aborto.
Prima di tutto è evidente un fatto: i politici di oggi, compresi quelli che si dichiarano cattolici, hanno rinunciato, non è chiaro se per paura, per incapacità o per rassegnazione, non dico a combattere, ma almeno a denunciare l’iniquità della legge 194 fonte di un disumano diritto all’aborto.
Qualunque persona ragionevole riconosce che accettando, o almeno tollerando, tale diritto, ogni argomentazione in difesa della vita è debole e poco convincente.
“Sulla pelle della donna” titola Avvenire sullo stesso numero. Ma per quanto seria, è forse decisiva l’eccezione della pericolosità della RU 486 per la donna? Non credo. Sia perché i fautori della pillola risponderanno, ed è difficile dare loro torto, che 29 morti su milioni di donne che l’hanno usata rientrano nel rischio che hanno altri mezzi abortivi e che in ogni caso la donna informata può sempre decidere liberamente di rifiutarla, sia perché essi capiscono benissimo che l’argomento è usato a pretesto per opporsi alla RU486.
Come pure debole è l’obiezione secondo cui la RU 486 pone forti rilievi di compatibilità con la legge 194. Si capisce che i fautori della pillola, in primis i poteri economici delle case farmaceutiche sostenuti da lobby massoniche e neo-malthusiane e poi gli ideologi dell’aborto libero, puntano a semplificare l’aborto rendendolo semplice come bere un bicchier d’acqua, ma a me sembra ingenuo opporsi a questo disegno facendo leva sulla obbligatorietà del ricovero previsto dalla legge 194 e confidando sul rifiuto della donna ad accettare la più lunga degenza ospedaliera (4 giorni e oltre) rispetto al day hospital dell’aborto chirurgico.
L’unico vero motivo per opporsi alla pillola è che essa uccide un bambino innocente; la pericolosità per donna è semmai un’aggravante e non il motivo principale.
Lo sanno bene i cattolici che affermano che la 194 “è una buona legge” ma non possono sostenerlo senza cadere in contraddizione. Ecco allora che aggirano il problema facendo pateticamente leva sul labilissimo argomento del rispetto della 194.
A parte la contraddizione di chi, anziché esecrare la 194 di cui la pillola mortifera è figlia, ne lamenta la violazione, (“l'articolo 5 prevede una procedura rispettosa della donna, ma dissuasiva dall'aborto” , dice addirittura il teologo Lorenzetti su Famiglia Cristiana), non è grottesco, oltre che paradossale, argomentare il proprio pensiero in difesa della vita evocando proprio la legge che la uccide? I fautori dell’aborto sono i primi a meravigliarsene: “di certo la RU486 ha prodotto un nuovo effetto: ha convinto politici e non, che da sempre osteggiano la 194, a difenderla” dice, ad esempio, il giornalista Mario Reggio su “La Repubblica” del 19/10/09.
Ma c’è da evidenziare un'altra deriva culturale di una parte del modo cattolico. Riguarda il cosiddetto “dramma della donna”, locuzione magica che mette tutti d’accordo da destra a sinistra. Parlare o, peggio, straparlare di “dramma della donna”, di questo autentico feticcio culturale, è fuorviante perché sposta ingiustamente il centro dell’attenzione dal diritto, infinitamente superiore, alla vita del bambino a quello alla salute psicofisica della donna presentata, senza nessun distinguo e con troppe forzature, anch’essa come vittima dell’aborto nonostante sia lei stessa a richiederlo (salvo dovute eccezioni, beninteso) in piena libertà.
E’ la logica buonista che esclude colpevoli nell’aborto procurato riservando per la donna sempre e solo comprensione, mai responsabilità (fosse pure per quella che tradisce il marito o che conduce una vita sessuale sregolata).
Questa deriva, che oscura pericolosamente il vero significato dell’aborto, l’uccisione deliberata di un innocente, traspare purtroppo anche sulle pagine di Avvenire con articolisti come Assuntina Morresi, Eugenia Roccella e Gianni Gennari. La stessa acuta Marina Corradi nel suo editoriale, al bambino non dedica che poche righe mentre parla della donna, con una improponibile generalizzazione, come una povera vittima sacrificata sull’altare degli interessi dei mercanti del farmaco.
Ma se la salute psicofisica della donna fosse veramente a cuore di tutti, abortisti e non, essi dovrebbero riconoscere che è l’aborto procurato, chimico o chirurgico poco importa, e non certo una maternità, a provocare le peggiori conseguenze – le devastanti sindromi post-aborto - sulla sua salute.
Per tale motivo – ovvero per amore stesso verso la donna - l’aborto va vietato e non favorito rendendolo libero e assistito.
E invece la 194 resta lì granitica e indiscussa perché “è una buona legge solo da applicare meglio” come da 32 anni si va ripetendo.
E così, nell’incapacità, o nel timore, di affrontare nella maniera più giusta il tema della vita, ai giovani viene lanciato un messaggio culturale confuso e devastante: essi restano frastornati da coloro che dicono di condannare l’avvelenamento del bambino con una pillola, ma ne tollerano la morte per smembramento chirurgico. O che affermano di preoccuparsi della donna – che, ripeto, ha piena responsabilità di scelta – la quale potrebbe restare traumatizzata alla vista dell’embrione espulso nel water di casa, ma sono acquiescenti se, in nome della sua libertà, sceglie l’aborto veloce in ospedale.
Il bambino nel grembo materno condannato a morte ha davvero poco da sperare da coloro che riducono il problema della difesa della sua vita a una scelta di come deve morire.
Temo che questa ulteriore bruciante sconfitta, l’introduzione della RU486 anche in Italia, non servirà molto a far riflettere coloro, politici e non, che hanno rinunciato ad affermare tutta intera la Verità sull’aggressione alla Vita umana innocente. Verità racchiusa nella mirabile – e poco citata perché politicamente scorretta - enciclica Evangelium Vitae in cui Giovanni Paolo II pronuncia parole di fuoco sulla legalizzazione dell’aborto e sui parlamenti che l’hanno introdotta: “quando una maggioranza parlamentare decreta la legittimità della soppressione della vita umana non ancora nata, assume una decisione tirannica nei confronti dell’essere umano più debole e indifeso” (EV n° 70).
Inutile, dunque, girarvi intorno: il cuore del problema politico della difesa della Vita in ogni stadio è tutto racchiuso qui.
Per affrontarlo non c’è che una strategia: suscitare una classe politica che si impegni ad eliminare la barbarie della legalizzazione dell’aborto. In Italia e in Europa. Quella attuale, tranne qualche rara eccezione, è inadeguata per tale obiettivo. Incapace di uscire dalla logica del politicamente corretto essa conduce solo battaglie innocue. E sempre perdenti.
Ma poiché la politica si nutre di consenso, il primo passo da compiere è chiamare in causa la gente la cui sensibilità all’aggressione della vita è più alta di quanto si possa immaginare. Non a caso le uniche vittorie (Family day, referendum legge 40 e l’espulsione dal parlamento delle frange di estrema sinistra) le abbiamo avute quanto il popolo è sceso in campo.
Occorre dunque promuovere una forte azione culturale (le famose condizioni di cui tutti lamentano l’assenza senza mai muovere un dito per crearle) attraverso i grandi mezzi della comunicazione di massa. Mi auguro che Avvenire, la nostra ammiraglia, ritrovi finalmente il coraggio di compiere la svolta decisiva per condurre questa battaglia di Verità.
Nel mio piccolo rilancerò, non so ancora con quali risorse, la diffusione di pieghevoli sulla 194, nella speranza di arrivare a diffonderne in Italia almeno un milione (la chiesa spagnola, convinta della bontà di uno strumento agile, sintetico ed economico come la brochure, per opporsi alla proposta di legge abortista di Zapatero, ne ha diffuso ben 8 milioni!). Oltre a smantellare scientificamente i ridicoli luoghi comuni fatti propri anche da tanti cattolici (come la riduzione degli aborti grazie alla 194), in esso è proposto il semplice e altissimo obiettivo che, mi auguro, sia fatto proprio dal “popolo della vita” (a cui chiedo di non disperdere le proprie energie in battaglie, anche buone, ma innocue):
Cancellazione della 194, sostenere concretamente la maternità e favorire ulteriormente l’adozione del bambino alla nascita anche per ridurre lo scempio della Vita legato alla fecondazione artificiale. Alla donna che non accetta la maternità verrà chiesto responsabilmente il peso (ma il “sacrificio” è così insopportabile?) di una gravidanza.
E’ la logica sapiente di Madre Teresa di Calcutta. E noi staremo con lei e con Giovanni Paolo II, due Santi che tolgono ogni dubbio a chi ritiene utopistica questa proposta, la sola capace di rendere questo mondo meno disumano. Sapremo cogliere questa sfida, rinunciando al volo basso, in quanto cristiani?
Carlo Principe
Presidente del Centro di Aiuto alla Vita - Benevento